10 set 2013

a favore del bonus maturità

Scrivere mi calma.
Mi costringe a mettere in fila i pensieri, concatenarli tra loro e scegliere ciò che è più probabile possa avere un senso per chi leggerà. Adesso invece sono agitato. Penso alla selezione per entrare alla facoltà di medicina, i 60 quiz, i 100 minuti.

Sono 84 mila quelli che hanno deciso di provarci. I posti sono solo 11 mila, però. Questa decisione sul come  e quanto rendere scarsa la risorsa "formazione universitaria" viene partorita ogni anno dal MIUR, il ministero dell'Istruzione, che decide anche la distribuzione geografica. La corte costituzionale ha già sancito, nel 1998, che questo fatto non lede il diritto allo studio. Io non sono per niente d'accordo, ma questo conta niente, quindi prendiamo il numero chiuso come un postulato e andiamo avanti.

Chi saranno i fortunati 11 mila? Potremmo estrarli a sorte, no? Costerebbe pochissimo e nessuno tra gli esclusi avrebbe niente da obiettare. Ricorsi ZERO :-)

Le innovazioni dirompenti hanno questa caratteristica di offrire solo l'essenziale ad un prezzo insostenibile per la concorrenza. L'esame di ammissione "GRATTA & STUDIA" costerebbe al candidato pochi €, eviterebbe le transumanze umane il giorno fatidico della prova e uno saprebbe subito se ce l'ha fatta! Poca spesa, moltra resa e solo una puntina di ingiustizia. Sì, perché c'è subito un'obiezione, in fondo condivisibile, al "gratta & studia": dice infatti la legge che l'iscrizione all'università va subordinata al superamento di una selezione preliminare che ha lo scopo di valutare su base attitudinale e/o nozionistica la possibilità dei singoli studenti di frequentare con profitto e portare a termine con successo un determinato corso di studi.

Portare a termine con successo: questo in parole povere significa tenere fuori quelli che probabilmente non arriverebbero in fondo, non si laureerebbero comunque, per mancanza di impegno, motivazione, soldi, memoria, acume, perseveranza. Io ad esempio non mi sono laureato, anche se gli anni a Bologna per me sono stati bellissimi, profondamente formativi e mi hanno portato per mano a quella che oggi è la mia professione. Il pezzo di carta ... quello no, non l'ho portato a casa, con grande delusione dei miei. Però  ho studiato tanto e alla fine ho fatto la mia startup, anche se allora non era di moda e si chiamava solo "dittarella snc". Ma sto divagando.

Anche quest'anno quindi bisogna scovare "quelli che tanto non finirebbero" e tenerli fuori. Scartato il "gratta & studia" entri allora l'esame di ammissione!

Nella sua forma attuale (9 settembre 2013) l'esame di ammissione a medicina prevede 60 quesiti in forma chiusa (metti un pallino in una delle 5 risposte) da completare in 100 minuti. Per ogni risposta esatta guadagni 1.5 punti, per ogni sbagliata ne perdi 0.4. Quindi puoi totalizzare da 90 a -24 punti. Alla fine si fa una bella graduatoria nazionale e i primi 11mila entrano. Gli altri, si sa, non avrebbero comunque raggiunto la laurea.

Chi si occupa di formazione non esita ad ammettere che i test chiusi a tempo non sono quanto di meglio esiste per valutare un soggetto. Ci possono essere dei falsi negativi, cioè persone preparate che a causa dello stress non sono riuscite a far rendere appieno la loro competenza. Ma anche dei falsi positivi, cioè persone incompetenti che grazie alla loro smisurata fortuna o alla altrettanto smisurata corruzione che alligna nel nostro paese, raggiungono inaspettati risultati di vertice.

Dovevano saperlo anche al MIUR perché avevano definito un meccanismo per temperare il numero di falsi negativi e positivi: il cosiddetto bonus maturità. Di cosa si tratta?

Al punteggio raggiunto in 100 minuti si aggiunge una piccola quota (max 10 punti) in base al voto di maturità, quel voto che ha dietro di sé 5 lunghi e intensi anni di studio.

Se facciamo una media di 30 ore settimanali per 36 settimane all'anno abbiamo quindi che max 10 punti derivano da (60 minuti x 30 ore x 36 settimane x 5 anni) 324mila minuti di scuola superiore e max 90 punti derivano da 100 minuti di test. Un po' sproporzionato, ma meglio che niente.

Questo bonus però veniva riservato agli studenti che facevano parte dell'ottantesimo percentile di ogni commissione d'esame, a patto che il punteggio di maturità non fosse inferiore a 80. 10 punti a chi prendeva 100 e lode e via a scalare in proporzione.

E in tre righe ho perso l'80% per miei lettori, temo ... percentile! ... interpolare! L'Italia e l'algebra non vanno d'accordo, altrimenti non si spiegherebbero certi fenomeni di allucinazione collettiva come l'acquisto a rate con tassi d'usura di apparecchi inutili in sostituzione di altri perfettamente funzionanti. Per non parlare dell'appeal politico del populismo più semplificante e panciologo ... Ma di nuovo sto divagando.

Ho letto di padri, affermati professionisti del foro, affranti ed indignati per il fatto che il loro figliuolo, pur avendo preso un voto di maturità superiore a quello del figlio del collega, aveva un bonus nullo (con tutti i soldi spesi in ripetizioni!) Un'ingiustizia intollerabile, dicevano, e preparavano il ricorso. Ahhh, adesso mi sfogo.



Caro avvocato, provi ad immaginare la commissione d'esame di suo figlio con tutti i suoi esaminandi schierati davanti, in fila per uno. Le vengo incontro: diciamo 100 studenti per fare cifra tonda e semplificare i calcoli. Ci siamo ? Sì, sarebbero 50 - 60 di norma, gli esaminandi, ma mi permetta questa piccola forzatura: è a suo vantaggio. Bene. Questi 100 sono stati messi in fila non in ordine alfabetico o per altezza, no no: si parte da quello che ha preso meno e si arriva a quello che ha preso di più. Lo vede dov'è suo figlio ? Al 79° posto e ha preso un punticino in meno di quello all'80°. Uno stupido insignificante punticino. Che significa tutto questo, se stiamo ai fatti ? Significa che suo figlio ne ha una ventina davanti, di studenti. Cioè ci sono una ventina di ragazzi e ragazze che in questi 5 anni hanno studiato di più e meglio di lui, fino a finirgli davanti nel momento supremo dell'esame di maturità; esame che ha comportato diverse prove scritte e una bella prova orale, non 60 quiz in 100 minuti. Mi segue, avvocato? Sursum corda: suo figlio è il migliore degli ottanta peggiori. Però è anche il peggiore dei 20 migliori.

Glielo diamo un piccolo riconoscimento a questi 20 che hanno reso più di suo figlio? Dove sta l'intollerabile ingiustizia ? Vuole che le racconti dei 100 studenti tra cui, al 90° posto, c'è il fortunato figlio del suo fortunato collega? Anche se suo figlio ha preso 95 e quello del collega 93, suo figlio ne ha 20 davanti, capisce? Si è fatto passare davanti da quei 20, quel ... E il figlio del collega solo da 10. Ha fatto meglio lui, ne conviene? Sono fatti, incontrovertibili fatti. Vuole denunciare la commissione di suo figlio? E se invece fosse colpa di quella del figlio del collega? Denunciamole entrambe, anzi tutte!

A mio modesto avviso il bonus maturità sarebbe stato un piccolo (ma benvenuto) correttivo della prova d'ammissione. Averlo eliminato perché "era di complessa applicazione e avrebbe creato ingiustizie" è - questa sì - una affermazione intollerabile, perché presuppone che siamo stupidi e ignoranti: dov'è la complessità? Dov'è l'ingiustizia?. Averlo deciso DURANTE lo svolgimento della prova presuppone infine una totale mancanza di rispetto per chi in base alla sua esistenza aveva impostato la preparazione sia della maturità che della prova di ammissione.

Credo invece - e concludo - che le motivazioni che hanno guidato l'esecutivo siano principalmente legate al consenso spicciolo, non al bene comune. Si galleggia, non si fa rotta nè vela. I ricorsi degli 80 peggiori, sembra abbia detto il ministro, sarebbero stati superiori in numero a quelli dei 20 migliori, e questo è un ragionamento scientifico, non c'è bisogno di dirlo. Intanto, su questo stesso pianeta, l'istruzione conosce una rivoluzione copernicana grazie ai MOOC e agli strumenti di condivisione, ma non in questo stivale del cazzo in mezzo al mare.

Ecco, spero di essermi spiegato; adesso sono calmo. Troppo?

10 ago 2013

Scalate sugli alberi (Estatubez)

Son cresciuto al Villaggio Nullo Baldini, un bel quartiere di periferia tutto di condomini di tre piani / 6 famiglie di qua e di là da via Agro Pontino; si chiama Pontino perché siamo l’unica strada a Ravenna con un ponte sopra! L’unica! Un ponte per pedoni, un cavalcavia pedonale, un ponticello, un pontino, appunto. C’è anche il bar Pontino, giù in fondo, anche se in realtà è in via Santucci. Poi è saltato fuori che l’Agro Pontino era quel posto vicino a Roma bonificato dagli Scariolanti, partiti nel 1884 da Ravenna con Nullo Baldini, proprio lui. Ma comunque io l’Agro Pontino in Lazio non l’ho mai visto e invece il ponte c’è ancora e dovreste venire a vederlo; quando nevica si possono organizzare delle gare di bob, avendo i bob, o se no van bene anche slitte o al limite cartoni infilati dentro ad un sacco di plastica, c’è da schiantarsi dal ridere o contro un albero.

A proposito di alberi ! Al villaggio c’erano quasi più alberi che bambini, e che alberi! Altissimi, specie quando ero ancora piccolo. Nelle strade intorno, fuori dal Villaggio, al massimo c'erano degli alberelli dentro a dei giardinetti davanti a delle casette, ma noi invece avevamo dei prati immensi, da giocarci a calcio e a pallavolo contemporaneamente. Vedi che l'unione fa la forza ? Avevamo addirittura anche un giardiniere che ci teneva dietro, come nei giardini dei ricconi che si vedevano in televisione, falciava e potava di tutto e ci teneva che non rovinassimo niente. Comunque i giardini erano per giocare, non da “guardare e non toccare”, niente aiuole fiorite, solo un bel prato robusto e arbusti per nascondersi. E alberi, alberi per giocarci. Per scalarli, ad esempio, purché non ci fosse il giardiniere in vista, o qualche pensionato suo alleato, che se no era una tragedia e avrebbero fatto la spia all’Amministratore eccetera eccetera. Ma gli alberi erano tanti e gli spioni pochi, eh eh.

Mi ricordo che  spesso gironzolavo in bici e quando incontravo un bell'albero potevo decidere di andarci su, se ne avevo voglia.

I primi rami erano sempre a non meno di due metri da terra, quindi per prima cosa mi avvicinavo lentamente con la bici e frenando mi appoggiavo con una spalla al tronco; poi, senza mettere i piedi a terra, cioè senza scendere dalla bici, montavo coi piedi sul cannone, abbracciando il tronco, e infine mi raddrizzavo e mi attaccavo con le mani al ramo più grosso che riuscivo a raggiungere. Passare direttamente dalla bici all'albero era un rituale importante, che avrebbe favorito una bella salita senza incidenti.

Se c'erano due rami disponibili allora era facile: afferratili saldamente, un ramo per mano, portavo i piedi uno dietro l'altro sul tronco e ... camminavo in su fino a rovesciarmi a testa in giù, con le ginocchia più in alto delle mani. A quel punto piegavo le gambe e le mettevo sopra e attorno ai due rami di prima, restandovi praticamente appeso; dopo di che tiravo su il busto a forza di braccia e muscoli addominali. Alla fine mi mettevo in piedi sui rami e il primo passo era fatto. Con un ramo solo, o con rami troppo grossi per essere stretti con una mano sola, allora la salita un po' più complicata ma non meno fluida e veloce.

Gli alberi erano quasi sempre pioppi; c'era anche qualche ippocastano; veramente c'erano anche dei salici piangenti, ma non erano scalabili: non avevano rami bassi oppure se li avevano l'albero finiva subito e non c'era gusto. I pioppi invece avevano la prima biforcazione all'altezza del pavimento del primo piano di una casa e poi altre due, tre o quattro biforcazioni distanziate tra loro due metri o giù di lì; dopo di che il tronco e i rami diventavano troppo sottili e i rischi di rottura troppo grossi. Un eucalipto è l'unico che mi ha fregato: era basso, tre metri in tutto, bello pieno di foglie, coi primi rami a un metro e mezzo da terra, rami belli grossi, mi appendo e faccio come per buttare i piedi in su, camminando lungo il tronco. TRACK ! Il ramo è venuto via di netto dal tronco, senza preavviso, e io sono caduto giù che ero orizzontale, dando una schienata per terra che mi ha lasciato senza fiato. E' che ero in vacanza nel Gargano coi miei genitori, non conoscevo la flora locale e mi sono fidato. Ma non la considero una caduta da un albero perché in effetti non ero ancora salito. Così la mia carriera è immacolata.

Mi piaceva andare su da solo e starmene rilassato, possibilmente seduto su una biforcazione, ma anche in piedi non era un problema, e abbracciarlo, l'albero, non strettamente, ma gentilmente, con il petto appoggiato al tronco, e una spalla, e la testa, cioè un'orecchio; sì, con un orecchio appoggiato al tronco e gli occhi chiusi, a sentire il fuori dell'albero con l'altro orecchio, il vento, le foglie che stormiscono e quelle cose poetiche lì. E ondeggiare con tutto l'albero. E pensare a niente. Neanche un nome, o un avverbio e meno che mai un verbo. Solo ripensare tutti i rumori che faceva l'albero. Non i nomi dei rumori, tipo stormire, scricchiolare, solo i rumori, direttamente i rumori. Qualche volta stavo attento anche agli odori, ma di meno, perché erano sempre quelli e non erano un granché. Poi aprivo gli occhi e mi divertivo a stupirmi di fronte all'insolita visione. Spesso ero all'altezza del terzo piano di una casa, a oltre 10 metri da terra, mica poco, e la bici là sotto era un giocattolino ! E allora mi stringevo un po' di più al tronco, rabbrividendo. Delle volte me ne stavo lì a farmi sorprendere da strani pensieri; come quella storia della ragazzina bionda dagli occhi azzurri (veramente!) che faceva le elementari nella classe prima della mia, mai scambiata una parola, eppure abitavamo vicini, io tornavo a casa da scuola in bici e lei sulla Bianchina di suo babbo. Io partivo a razzo e lei mi superava dopo un po'. E tutte le volte si voltava dalla mia parte e ... mi sorrideva. Mi guardava negli occhi per un attimo, e sorrideva. Cioè non è che arrivasse sorridendo e mi guardasse, no no: prima arrivava, poi si voltava verso di me, mi abbagliava per un attimo con quei suoi occhi chiari e solo dopo sorrideva; vuoi proprio che fosse suo babbo le raccontava una storiella sempre in quel preciso momento del sorpasso ? Difficile ... quindi sorrideva a me. Elementare, Watson. Sorrideva a me. A quel punto me ne andavo avanti in folle per metri e metri senza più pedalare, senza più respirare, senza più chiederemi perchè diavolo mi sorridesse. Le femmine hanno questo potere di semplificare, perché le cose te le fanno sentire direttamente, senza parole di mezzo. E io me ne stavo al sicuro sull'albero a covare queste nuove sensazioni. Sperando che lei passasse e mi vedesse. Mai successo. Avrei costruito una casa sull'albero per lei, ma vedi, sto già complicando tutto.

A volte pensavo di essere una fogliolina come le altre, e stavo lì a fare la mia parte di fruscio, vuoto di pensieri e pieno di rumori e odori, contento di essere una cosa piccola, che male può mai sentire una cosa così piccola come una fogliolina ? Così lenivo le pene del mio giovane cuore. E non avevo ancora letto neanche un libro che contenesse la parola "Zen" nel titolo !

Poi ci sono state le scalate storiche, quando abbiamo "conquistato" le cime degli alberi per la prima volta; deve essere successo tutto in una estate, un anno eravamo troppo piccoli per farcela e l'anno dopo li avevamo fatti fuori tutti; lì era un lavoro di squadra, era un discutere e mettersi d'accordo, prima io sì ma dopo prima io, e poi provare e riprovare, una biforcazione per volta, senza rischi. E mai che uno di noi sia caduto, si sia fatto male. Avevamo la testa sulla spalle e attendevamo al nostro dovere di scalatori con dedizione e determinazione. E gli alberi ci ripagavano concedendoci le loro vette. Gli angeli custodi facevano lo straordinario.

Ricordo un pioppo vicino al cavalcavia pedonale, l'avevo battezzato K13, arrivava al quinto piano, non scherzo. Le prime tre biforcazioni erano venute via facili, ma la quarta sembrava impossibile: era l'ultima ed era troppo distante dalla precedente; in piedi sulla terza non si arrivava e prenderne un ramo con le mani. Eravamo in tre che ci provavamo; ogni tanto lasciavamo perdere e per giorni stavamo alla larga, ma poi ci ritrovavamo alla sua base a guardare in su. Alla fine dell'estate ci provammo un'ultima volta; io avevo addirittura realizzato una targa commemorativa in legno compensato a forma di foglia, da inchiodare lassù, c'erano scritti i nostri nomi e uno spazio vuoto per la data della conquista. Andammo su tutti e tre insieme e ci appollaiammo sulla terza biforcazione; facemmo qualche prova ma dovemmo constatare che era impossibile aiutarci l'un l'altro, tipo uno sta in piedi appoggiato di schiena al tronco e fa scaletta (cioè intreccia le mani a formare un gradino) all'altro, non c'era lo spazio ed era comunque troppo pericoloso per quello di schiena, che doveva mollare tutti gli appigli.

Usare corde o altri artifici era fuori discussione, non era nel nostro stile, un purismo che tollerava a mala pena la bici come lancio iniziale. Quindi la vetta sembrava proprio inviolabile. Poi Daniele fece una cosa nuova, pericolosa e mai tentata prima: stringendo bene il tronco con tutte e le due mani, cominciò a spostare i piedi sempre più all'esterno sul suo ramo; in pratica si allontanava con tutto il corpo dal tronco, restandovi avvinghiato solo con le mani, in una situazione instabile (e pericolosa) perché ancorata su tre punti allineati, in precario equilibrio. Non solo: più ti allontani dall'inizio del ramo, più fai leva e rischi di romperlo. Ma ecco la sua intuizione: il ramo su cui si muoveva coi piedi era fortemente inclinato e dunque più si allontanava orizzontalmente dal tronco, più saliva, avvicinandosi alla quarta biforcazione. Ad un certo punto mollò il tronco con una mano, la portò il più in alto possibile e afferrò il ramo della quarta biforcazione ! Da lì issarsi fu semplice.

La cima era sua. Si guardò lentamente intorno come a registrare nella sua mente l'evento per immagini, che la semplice nozione di avercela fatta era troppo poco, poi guardò noi con un sorriso abbozzato, e alla fine si guardò i piedi, rabbuiato. Scendere dalla quarta biforcazione infatti gli riuscì un po' goffo: dovette scivolare sul tronco a gambe strette, un espediente stilisticamente non proprio edificante. A turno poi siamo saliti tutti. Ma era un sistema pericoloso, l'abbiam fatto solo quella volta e solo perché era la prima volta del K13. La foglia l'ho inchiodata il giorno dopo. Forse era l'11 settembre, o giù di lì.

17 lug 2013

Dario begins

Copio qui una cosa scritta tempo fa ad una amica via facebook, che non vada perso; come se ci fosse da fidarsi più di Page & Brin che di Zuckerberg ... mi perdonerà Dario per la sua privacy strapazzata, ma in fondo va in giro con una cicatrice che neanche i pirati dei Caraibi ce l'hanno ;-)

Mio figlio Dario è nato con una "ernia diaframmatica" che sarebbe un buchino nel diaframma tra i polmoni e il resto della pancia. Di solito se ne accorgono subito, i dottori, perché il neonato fatica a respirare. Ma invece Dario è stato bene fin sui tre mesi. Poi sempre peggio, tosse, diarrea, non cresceva più, anzi calava ! Alla fine, con una radiografia si è capito il problema. Ed era un problema grosso: l'intestino era andato su per il buchino del diaframma e si era messo attorno ad un polmone e il cuore si era spostato a destra, insomma era tutto incasinato, povero Dario. E allora via a Bologna per l'operazione, solo che appena arrivato in ospedale si è preso un febbrone e una gran diarrea e avevano paura che non reggesse l'operazione così ammalato. E' passato più di un mese e lui stava sempre peggio, sempre più magro e sempre più gonfio nel torace, ma teneva botta e rideva ancora ogni tanto. Io andavo su e giù da Ravenna, tutti i giorni, mia moglie dormiva in ospedale la notte e io le davo il cambio la mattina così lei si riposava in albergo. Eravamo in 4 famiglie in quella stanza d'ospedale e abbiamo conosciuto dei genitori veramente forti, allo stesso tempo disperati e coraggiosi. Ci son passate tante fisime, in quel periodo, la vita era diventata semplicissima: Dario doveva vivere ! Punto. Mi sentivo come un animale che protegge il suo cucciolo ferito. Finalmente l'hanno operato e ... ce l'ha fatta. 2 settimane di rianimazione ma ce l'ha fatta. Ho fatto io la notte prima dell'operazione e ho tenuto per mano il mio piccolino per tutto il tempo. Non pensavo a niente, se non che gli tenevo la mia zampona vicina e ringhiavo come un lupo a tutti i pericoli e le sfighe che provavano ad avvicinarsi. La mattina mia moglie l'ha tenuto in braccio sempre, mentre aspettavamo che l'infermiera lo venisse a prendere. Quando è arrivata ci ha spiegato come sarebbero andate le cose, i tempi previsti, e poi ha teso le braccia verso Dario per prenderlo. E Marina d'istinto si è girata da una parte per non darglielo. Un attimo solo, un gesto impercettibile, ma di una forza ... Poi glielo ha dato. Lui ci ha guardato perplesso da sopra la spalla dell'infermiera mentre andavano via. Non piangeva. E neanche noi. Per un po'. Quella volta ho sentito una tale botta d'amore per mia moglie, per quel suo gesto così spontaneo, così sincero ... eravamo rimasti nudi come due animali, nei nostri sentimenti.

I medici l'hanno aggiustato ben bene, Dario; 7 ore di intervento, mi sembra; dopo ci han detto che era proprio al limite, l'intestino si stava atrofizzando così strozzato ! Ma l'hanno smontato e rimontato come si deve e si è subito "ossigenato". E intanto che c'erano gli han tolto l'appendice, che se no ritrovarla se si infiammava sarebbe stata dura ! Che storia, oh !

In rianimazione per dei giorni è stato incosciente; era stato "curarizzato", cioè paralizzato apposta perché non tirasse i muscoli della pancia, se no si poteva "scucire". Era pieno di tubi, per respirare, per nutrirsi, per ricevere le medicine ... noi lo potevamo vedere mezzora al giorno, un quarto d'ora a testa, io e Marina. Lì con lui c'erano dei prematuri che stavano nel palmo di una mano. Era il ciglio della vita, quel posto. Poi pian pianino Dario si è svegliato. Ma gli si incrociavano gli occhi all'inizio. Era stanchissimo. E penso anche incazzato perché lo avevamo abbandonato lì per tutto quel tempo. Non potrò mai dimenticare il giorno che gli ho portato la sua sveglia / coniglio di plastica gialla. L'ho fatta suonare e lui l'ha riconosciuta e finalmente ha sorriso. Ha teso le manine per prenderla e ha sorriso con gli occhi, che in bocca aveva i tubi e non si capiva. Che forza quel sorriso ! E che forza qual bambino. Volevo ruggire.

Poi un giorno gli hanno staccato anche l'ultimo tubicino e allora l'ho preso in braccio e abbiamo ballato e piroettato per un bel po'. Siam tornati a casa che aveva compiuto sette mesi. Con Marina diciamo che quello è stato il nostro Vietnam e siamo stati davvero fortunati a tornare indietro tutti e tre vivi e più forti di prima. Son stati in tutto due mesi o poco più, per noi; poi penso a chi c'è stato davvero, in Vietnam, o a chi ci ha lasciato un figlio, al Sant'Orsola - Gozzadini di Bologna, uno l'abbiamo conosciuto, e allora mi do dello stronzo. Comunque quei due mesi han proprio un sacco di colori, e di odori, nei nostri ricordi.

A proposito di Vietnam, nel weekend ho letto Asce di guerra, di Wu MIng e Vitaliano Ravagli; eccolo: http://www.wumingfoundation.com/gallery/ascediguerra.htm
Ragazzi ... l'ho scaricato e divorato; adesso leggo 54. Per ringraziare ho comprato l'eBook. 

12 apr 2013

il vento del cambiamento, le onde della complessità, le piattaforme degli intrepidi


Oggi sono al CNR di Bologna (http://www.bo.cnr.it/), dove 800 ricercatori operano nell'area di ricerca più grande in Italia. Aster (http://www.aster.it/tiki-index.php?page=HomePage), un Ente Regionale che qui ha la sua sede, ha convocato una manciata di blogger invitandoli a raccontare a modo loro la ricerca scientifica e il trasferimento tecnologico. Io mi sono astutamente infiltrato: oggi non vergherò istruzioni per i miei amati carriponte: scriverò invece per il web.

Sono forti qui all'Aster: ritengono di avere difficoltà a comunicare la loro missione; credono di non essere correttamente percepiti, da un pubblico ampio, per il ruolo critico che ricoprono a favore del tessuto produttivo territoriale. E allora hanno deciso di fare un esperimento, chiamando i blogger. Non si sono chiesti “funzionerà?”, magari storcendo il naso con scetticismo. NO. Invece si sono chiesti “come possiamo misurare l'efficacia di questa iniziativa?”. Misurare! Capite? Metodo scientifico. Chi è ASTER? Nasce nel 2002, con una Legge Regionale dedicata all'innovazione, prima in Italia. Ad oggi la nostra regione assorbe il 6% dei costi dedicati alla ricerca, in Italia, e produce il 15% dei risultati scientfici. Questo sì che è un signor ROI (Return On Investment). Cosa fa Aster?

Aster è una struttura della Regione Emilia Romagna che coordina 6 piattaforme dedicate al trasferimento tecnologico.

Piattaforma? Sarebbe a dire? Proviamo con qualche pennellata di colore. Immaginate una zattera tra i marosi e a bordo professori e ricercatori universitari, qualche imprenditore e un tot di amministratori e politici. Le onde della complessità e il vento del cambiamento assediano la piattaforma, ma la gente sopra si dà da fare a trovare una rotta e a raccogliere altri naufraghi. Sono sei le zattere, tutte a portata di voce; si scambiano informazioni e viveri, tengono botta insieme.

Voi dove preferite stare, giovani startupper e stagionati imprenditori? A mollo per conto vostro o a bordo in compagnia? E il trasferimento tecnologico, cos'è?

La ricerca scientifica studia via nuove. Cerca. “Se sapessimo cosa cerchiamo, non sarebbe ricerca” si dice solesse dire Einstein. Col trasferimento tecnologico si sottopone una scoperta scientifica alla prova del fuoco: il mercato. Diventa tecnologia quella scoperta che sopravvive nella competizione ed è compatibile coi nostri valori economici e morali. In questo innesto tra conoscenza e capacità sta l'innovazione: “vedere quello che tutti vedono e pensare quello che nessuno pensa”. Questa frase, pronunciata da Leda Bologni, responsabile “Scenari Tecnologici della Rete”, durante la presentazione dell'iniziativa, mi ha colpito per la sua tersa essenzialità.

Poco dopo il presidente di Aster, Fabio Rangoni, ha detto con orgoglio che se Milano è la capitale del sistema MODA in Italia, allora Bologna è la capitale dell'innovazione e della tecnologia. Elisabetta Toschi ha presentato la piattaforma “Meccanica Materiali”, la più robusta tra le 6 “zattere”, con un equipaggio potenziale di 28 mila imprese per 350 mila addetti e un fantastico trofeo in mostra sul picco più alto: siamo all'avanguardia nel mondo per il packaging. Questa è l’ossatura del nostro sistema produttivo e crea e dà forza ad un indotto robusto. Mi son venuti in mente i nostri contadini dei secoli passati: avevamo qua in Regione un grandioso sistema di irrigazione spontaneamente manutenuto alla massima efficienza perchè tutti, ripeto TUTTI, pulivano il proprio pezzo di canale e si ingegnavano a far scorrere, utilizzare e restituire il prezioso liquido. Si dice che nasce anche da qui la nostra tradizione all’integrazione produttiva e alla solidarietà.

La più piccola e la più giovane delle 6 piattaforme, presentata da Lucia Mazzoni, è quella dell’ICT, abitata dai “digitali”. La nostra Regione ospita solo un migliaio di imprese, mediamente di piccole dimensioni (compresa la mia), di questa tipologia, ma non c’è dubbio che questo sia il comparto più abilitante e infatti ne troviamo massicce dosi in tutti gli altri, dall’agroalimentare (che al packaging deve tanto per gli aspetti della conservazione) alle costruzioni, dall’energia e ambiente alle scienze della vita.

Più scorrevano gli interventi di presentazione, interpuntati dalle nostre domande, più mi sentivo ottimista. Non va tutta a rotoli, dunque, l'economia. Sarà il caso di farlo sapere in giro! Non tutti i capitali stanno fuggendo dal nostro paese. Non tutte le aziende stanno delocalizzando o semplicemente chiudendo o licenziando! Nemmeno il terremoto ha spento l'elettromedicale, anzi ne abbiamo approfittato, con la piattaforma Costruzioni, presentata da una entusiasta Teresa Bagnoli, per spostare il focus su sicurezza e sostenibilità.

Complessità, interrelazione, cambiamento, velocità sono le dimensioni e le direzioni del nostro vivere moderno. Io sono un piccolo imprenditore, amo il mio lavoro che è quello di scrivere software per risolvere i problemi dei miei clienti. So di operare in un settore caratterizzato da un rapidissimo cambiamento, all'incrocio di percorsi che attraversano TUTTI i settori economici. Quando ho iniziato, negli anni ottanta, mi son trovato a cavallo tra due mondi: da una parte i miei amici laureandi in fisica, che avevano importato i primi personal computer dall'America e dall'altra i miei amici ragionieri che per primi avevano osato affidare la contabilità della loro azienda a questi nuovi (ed economici) elaboratori da tavolo. Fare il mediatore culturale tra queste due tribù è stato esaltante: abbiamo cambiato il mercato con la nostra CogInt, la prima contabilità integrata della Romagna! Abbiamo fatto la nostra parte nella “disruption” dei minicomputer e dei servizi contabili: tante piccole aziende hanno potuto risparmiare un sacco di soldi e conoscere meglio e con più immediatezza il loro stato di salute economico. Abbiamo avuto fortuna ad essere lì in quel momento. Eravamo proprio avanti.

Poi le cose si son complicate. Molto complicate. Più concorrenza. Più costi. Ma anche più opportunità, nuove tecnologie,  nuove collaborazioni. Ma è dura, molto dura restare sul mercato. Ci vorrebbe anche un po’ di fortuna, per essere di nuovo lì, al posto giusto, al momento giusto. Io credo che fare ricerca e trasferirla alle aziende sia il modo laico e non superstizioso di augurare buona fortuna agli imprenditori e agli amministratori pubblici, di metterli quanto più possibile vicini al posto giusto nel momento giusto; poi ovvio se la giocheranno loro, si prenderanno le loro responsabilità.

Insomma compagni e amici, fate un salto all’Aster: coltivano dei quadrifogli che sono uno spettacolo! E vengon via con poco, finché sono di stagione.

Buon vento (come si usa dire tra la gente di mare, prima di lasciare la costa per un altro giro di giostra) !

8 apr 2013

turboblogging !

Aster invita 40 blogger a raccontare la ricerca industriale:

L'iniziativa si chiama turboblogging si svolgerà a Bologna, biblioteca CNR, il prossimo giovedì, 11 aprile. Io mi sono candidato dando queste due definizioni:

Cosa rappresenta per te la ricerca in un tweet?
La ricerca in un tweet richiede al massimo log base 2 ( 140 ) accessi, ci riesce anche un bambino. Non ho mai capito però perché non abbiano fatto 128 caratteri, cifra tonda. Ma son quelli che misurano in piedi e pollici, cosa vuoi pretendere ;-)

Come la ricerca può sostenere l'impresa?
La stagnazione può essere combattuta anche con l'ingresso di nuovi attori in grado di alterare gli equilibri economici in essere. A questo proposito la ricerca è un formidabile catalizzatore per la creazione di nuovi mercati e lo sviluppo economico ne risulta certamente favorito.

Poi ho linkato il mio post "L'odore dei numeri" e ... sono uno dei 40 ! Resto fermamente convinto che il trasferimento tecnologico possa essere una leva straordinariamente efficace per invertire il trend recessivo in atto e per trasformare i nostri mercati da paludi infestate da relazioni di potere ad ecosistemi orientati all'innovazione e all'efficienza e finalmente retti da una ritrovata giustizia sociale. Farò del mio meglio per divulgare quanto di buono stiamo facendo qua in Regione.

As avdè zobia (ci vediamo giovedì,  scusate il francesismo)

31 gen 2013

Idea per un libriccino


Come riprendere a fumare

in pochi semplici passi

avendo i soldi per farlo


Prefazione dell'autore

Non sto fumando, in questo momento. L'ultima sigaretta l'ho spenta il 20 giugno del 2006. Son contento d'aver smesso. So che posso riprendere quando voglio, anzi ho deciso che riprenderò a fumare durante il mio ultimo anno di vita; quindi adesso è un po' prestino, credo. Spero !

Sento dire da molti che vogliono smettere. Di fumare. Di drogarsi. Di scommettere. Di bere. Di dipendere da qualcosa o da qualcuno. Di perdere. E non ce la fanno. Ci ricascano: il vizio non li lascia andare.

Forse è questione di organizzarsi, non è solo un problema di volontà. Dice il grande generale Sun Tzu nella sua opera L'arte della guerra che bisogna studiare bene l'avversario e poi colpirlo nelle sue debolezze, lasciandogli un'unica via di scampo. Dov'è debole, il vizio ? Pensiamoci un attimo. Dov'è che il vizio è più indifeso, disorganizzato, depresso e sul punto di cedere ? Ma nella sua stessa vittima ! Nel fumatore, nell'alcolizzato, nel drogato stesso. Penso davvero che più ci si sente sconfitti, schiacciati e annichiliti dal proprio vizio, tanto più si è vicini alla libertà. Insomma bisogna schifare la morte, cioè il vizio, che ci lasci perdere. Andare disarmati, all'ultima battaglia; è coraggio ed astuzia, più che cieca volontà. E che via di scampo gli lasciamo, al vizio ? La via di andare affanculo. E restarci.

Le menti più acute nel campo della psichiatria e della farmacologia hanno investito intere vite di studio e di sperimentazione nella lotta alla dipendenza. Chi sono io per parlarne. Infatti. Ne voglio solo scrivere qualche pagina, per me più che per gli altri, per rivivere fatti notevoli. Se poi qualcuno ci trova del buono e riesce a farsi qualche anno da "indipendente" grazie ANCHE a questi ragionamenti ... bene ! Un problema in meno. Allora partiamo.

Inizio a scrivere queste pagine la sera del 2 maggio del 2012, terzo anniversario della morte del mio papà; lui se ne è andato che aveva quasi compiuto 77 anni; era a Milano, al Monzino, problemi di cuore, una lunga vita da grande fumatore alle spalle, da grande mangiatore, un insaziabile appetito e una insaziabile curiosità a spingerlo, anche quando non aveva fiato per più di tre parole in fila: in - qualche - modo ... me - la - caverò ... vedrai - che - roba. Mi manca, cazzo se mi manca. Il lutto, lo strazio di una assenza che non avrà termine, l'irrimediabilità di una separazione de-fi-ni-ti-va, quanto più sentirai il peso insostenibile di una morte a te così vicina, tanto più sarai vivo.


Introduzione

Si può dire che ho sempre fumato. Il primo pacchetto l'ho comprato a 18 anni, d'estate; lavoravo al campeggio Camping Coop 3 di Punta Marina, qua a Ravenna, come l'anno prima, ma stavolta mi era toccato il negozio di alimentari, due palle ... così la ziga era una scusa per starmene fuori all'aria aperta nel retro, ogni paio d'ore, e lumare le pupe che passavano. A metà Luglio ho mollato per andare a fare il muratore fino a ferragosto; lì ho imparato a fumare senza mani, con la testa inclinata da un lato e un occhio lacrimoso inesorabilmente centrato dal filo di fumo, mentre scazzuolavo e smartellavo con studiata noncuranza. Era già meno piacevole. Poi le scuole hanno riaperto ed è arrivato l'inverno. Non mi accorgevo più di fumare. Mi accorgevo di NON fumare. In aula la noia cresceva e così la voglia di una ziga. Poi durante la ricreazione fumavo nei cessi, sovrappensiero, senza accorgermene. Fanculo.

Le prime sigarette, quando stai ancora imparando a fumare, hanno un sapore stupendo. Un sapore ! L'odore ce l'hanno da spente, ma il sapore, il sapore ! Quando riesci a succhiare con la necessaria lentezza e progressività, senza arroventare troppo la brace, lavorando solo di bocca, senti la nuvola calda e umida che ti rotola lungo la lingua, fino alla gola che è ancora chiusa e aspetta che tutte le papille gustative si ergano nella nebbia ad inebriarsi di questo sapore nuovo, che cambia, si arrotola, si inspessisce e poi accenni appena ad un abbozzo di respiro e il fumo scorre veloce tra le mucose, casca giù e sembra che esploda nella trachea, un lampo e sei ad un millimetro dal tossire e allora chiudi gli occhi ed espiri un po', poi di nuovo provi ad aspirare, ma ormai è tardi, l'onda buona è passata, meglio soffiarlo fuori, ad occhi aperti, com'è diverso questo fumo vissuto, marrone e rado, una foschia stanca, com'è diverso da quello che sgorga dalla brace, azzurrino e compatto, una lama tagliente. Sei come ipnotizzato dalla spirale danzante di questo filo, ti gira un po' la testa, ma raddrizzi le tue due dita tremanti, non ancora gialle di nicotina, e ti butti a dare un altro tiro. E un altro, e un altro.

Le prime si fumano in compagnia. Si studia. Si sperimenta, ci si confronta. Si gioca a fare i grandi. Sono le sigarette più belle che fumerai nella tua vita. Goditele. Non ce ne saranno mai più di così intense e al tempo stesso delicate; tu non sarai più così attento, sensibile, riconoscente e felice di fumare. Insieme agli altri adepti  si provavano varie marche, col filtro, senza filtro, americane, francesi ! Oh le francesi, che lavoro ! Pesissime, saporose, inconfondibili, le uniche ziga veramente faticose ! Le Celtique grosse module, un pacchetto durava un mese, non le voleva finire nessuno. Le Gitanes papier mais "ti sei pisciato in tasca" ! Sì, perché la cartina era ... giallina. Le Gauloises, quelle avevano per noi provinciali il sapore aspro del maggio rivoluzionario, i lacrimogeni non sapevamo cosa fossero e di cosa sapessero.

E insomma l'apprendista fumatore va avanti curioso ed attento, sempre in cerca, poi ad un certo punto si imbolsisce, mette le pantofole e diventa pigro: per un po' ruota solo su due o tre marche e poi inesorabilmente si ferma: nel mio caso Marlboro morbide, rosse, ça va sans dire ! Il tabaccaio te le mette sul bancone prima che tu apra bocca. Quando compri il pacchetto per te, solo per te, allora hai finito di cominciare. Hai imparato abbastanza. La ziga non ti ama più, qualcosa si è rotto in quella favolosa storia d'amore. Dov'è la ziga che ho tanto amato ? Andata, perché adesso fumi distrattamente, che non è poi sta gran cosa fumare, non sa praticamente di un cazzo, sta ziga, però fumi, sempre. Smetto quando voglio, come no, ma poi perché smettere ? La ziga adesso è una parte di te, giovane, e come direbbe Grande Capo nel Nido del Cuculo, "ti sta fumando lei", ogni santo giorno che dio manda in terra.

FINE PRIMA PARTE ... (e adesso come vado avanti ? Quasi quasi mi accendo una ... )

14 gen 2013

Addio Aaron

Aaron Swartz si è suicidato pochi giorni fa. Aveva 26 anni.

Repubblica.itL'addio di Tim Berners-Lee. Arriva anche il saluto del papà del World Wide Web, Tim Berners-Lee. Il "Sir" della Rete scrive su Twitter: "Addio Aaron. Viaggiatori del mondo, abbiamo perso uno dei nostri saggi. Attivisti digitali, siamo uno in meno. Genitori del mondo, abbiamo perso un figlio. Lasciateci piangere". E i retweet sono migliaia. Compreso il mio. Ecco il suo manifesto, tradotto spontaneamente in italiano su un google doc:


L'informazione è potere. Ma come ogni tipo di potere, ci sono quelli che se ne vogliono impadronire. L'intero patrimonio scientifico e culturale, pubblicato nel corso dei secoli in libri e riviste, è sempre più digitalizzato e tenuto sotto chiave da una manciata di società private. Vuoi leggere le riviste che ospitano i più famosi risultati scientifici? Dovrai pagare enormi somme ad editori come Reed Elsevier.

C’è chi lotta per cambiare tutto questo. Il movimento Open Access ha combattuto valorosamente perché gli scienziati non cedano i loro diritti d'autore e che invece il loro lavoro sia pubblicato su Internet, a condizioni che consentano l’accesso a tutti. Ma anche nella migliore delle ipotesi, il loro lavoro varrà solo per le cose pubblicate in futuro. Tutto ciò che è stato pubblicato fino ad oggi sarà perduto.

Questo è un prezzo troppo alto da pagare. Costringere i ricercatori a pagare per leggere il lavoro dei loro colleghi? Scansionare intere biblioteche, ma consentire solo alla gente che lavora per Google di leggerne i libri? Fornire articoli scientifici alle università d’élite del Primo Mondo, ma non ai bambini del Sud del Mondo? Tutto ciò è oltraggioso ed inaccettabile.

"Sono d'accordo," dicono in molti, "ma cosa possiamo fare? Le società detengono i diritti d'autore, guadagnano enormi somme di denaro facendo pagare l'accesso, ed è tutto perfettamente legale — non c'è niente che possiamo fare per fermarli". Ma qualcosa che possiamo fare c'è, qualcosa che è già stato fatto: possiamo contrattaccare.

Tutti voi, che avete accesso a queste risorse, studenti, bibliotecari o scienziati, avete ricevuto un privilegio: potete nutrirvi al banchetto della conoscenza mentre il resto del mondo rimane chiuso fuori. Ma non dovete — anzi, moralmente, non potete — conservare questo privilegio solo per voi, avete il dovere di condividerlo con il mondo. Avete il dovere di scambiare le password con i colleghi e scaricare gli articoli per gli amici.

Tutti voi che siete stati chiusi fuori non starete a guardare, nel frattempo. Vi intrufolerete attraverso i buchi, scavalcherete le recinzioni, e libererete le informazioni che gli editori hanno chiuso e le condividerete con i vostri amici.

Ma tutte queste azioni sono condotte nella clandestinità oscura e nascosta. Sono chiamate “furto” o “pirateria”, come se condividere conoscenza fosse l'equivalente morale di saccheggiare una nave ed assassinarne l’equipaggio, ma condividere non è immorale — è un imperativo morale. Solo chi fosse accecato dall'avidità rifiuterebbe di concedere una copia ad un amico.

E le grandi multinazionali, ovviamente, sono accecate dall'avidità. Le stesse leggi a cui sono sottoposte richiedono che siano accecate dall’avidità — se così non fosse i loro azionisti si rivolterebbero. E i politici, corrotti dalle grandi aziende, le supportano approvando leggi che danno loro il potere esclusivo di decidere chi può fare copie.

Non c'è giustizia nel rispettare leggi ingiuste. È tempo di uscire allo scoperto e, nella grande tradizione della disobbedienza civile, dichiarare la nostra opposizione a questo furto privato della cultura pubblica.

Dobbiamo acquisire le informazioni, ovunque siano archiviate, farne copie e condividerle con il mondo. Dobbiamo prendere ciò che è fuori dal diritto d'autore e caricarlo su Internet Archive. Dobbiamo acquistare banche dati segrete e metterle sul web. Dobbiamo scaricare riviste scientifiche e caricarle sulle reti di condivisione. Dobbiamo lottare per la Guerrilla Open Access.

Se in tutto il mondo saremo in numero sufficiente, non solo manderemo un forte messaggio contro la privatizzazione della conoscenza, ma la renderemo un ricordo del passato.

Vuoi essere dei nostri?

Aaron Swartz
Luglio 2008, Eremo, Italia





La vita va avanti.